Riportiamo qui di seguito la bella e approfondita intervista rilasciata Sergio Pellissier , presidente del Chievo Verona, per la testata online Rabone.it, come ripreso dal sito ufficiale del club clivense.
Abbiamo visto tutti le immagini emozionanti dei festeggiamenti con i tifosi. Ora che è passato più di un mese, come ci si sente? Quanto era importante per voi vincere questa battaglia?
"Mi sento bene, sono orgoglioso. È stato un traguardo importantissimo. Quel marchio era veramente decisivo per il nostro progetto, e siamo finalmente riusciti a riportarlo a casa. Quando tre anni fa i tifosi mi avevano chiesto di fare qualcosa per il club, mai avrei pensato che saremmo riusciti a fare così tanto. Semplicemente ho pensato che quei tifosi che mi hanno dato così tante soddisfazioni, che mi hanno amato così tanto, non meritassero di perdere tutto quello che avevano guadagnato in questi anni. Mi sembrava giusto provare a fare qualcosa. Ora sono molto orgoglioso, spero che chi ha creduto in me ora sia ugualmente contento.
Quali sono state le più grandi difficoltà di questo progetto?
Non tutti credevano in quello che stavamo facendo. Gran parte dei tifosi pensava che noi lo stessimo facendo per ripicca, che io lo facessi contro Campedelli. Il nostro obiettivo però era solo quello di tenere in alto il nome del Chievo, dare la possibilità a tutti quei tifosi di avere una squadra per cui tifare. Una squadra che si chiamava con un nome diverso, certo, ma gestita, tifata e sostenuta dalle stesse persone. Che potesse continuare quella favola e quelle emozioni che c’erano anche prima. Il fatto che ci siamo riusciti, che quei tifosi che prima ci criticavano forse hanno capito che noi volevamo solo il bene del Chievo, ci dà una soddisfazione immensa".
Ce l’avete fatta anche grazie a una campagna di crowdfunding. Contate di mantenere questo modello di azionariato popolare di stampo tedesco?
"Noi siamo aperti a tutto, vogliamo solo che questo progetto sia più vivo e sano possibile. Sicuramente ci dà orgoglio che questo marchio sia di 800 persone e non di un individuo singolo. Siamo contenti che quello che accade all’interno della società coinvolga tutti i soci e che possano dire di essere proprietari di una società di calcio e titolari del marchio Chievo. Questo è un orgoglio per noi perché al mondo sono poche le società così".
Ora che avete vinto c’è più serenità?
"Mi ha dato fastidio che ho diviso la piazza, tra chi non aveva fiducia in quello che stavamo facendo e chi invece mi ha seguito perché in me ha visto la persona che ci credeva più di tutti. Se però qualcuno vuole mandare avanti un progetto non a nome suo, ma a nome di tutto il popolo Chievo, rendendoti partecipe, dovresti seguirlo, no?"
C’è comunque un po’ di rivalsa?
"A me non interessa chi c’era dall’inizio, chi non c’era o chi era contro. L’ho fatto solo per le persone che hanno creduto in me. Io ho giocato, ho lavorato e sto lavorando per le persone che hanno creduto e credono in me. Che senso avrebbe lavorare per le persone che non credono in te? Finché avrò persone che credono in me mi impegnerò al 150% per riuscire a dargli la soddisfazione che si meritano. A me le rivalse non interessano, a me interessano i miei traguardi, che ora sono gli stessi del Chievo".
Ce ne può dire qualcuno?
"Crescere. Vogliamo diventare una società sempre più solida. Non vogliamo ovviamente avere problemi economici, crescere si ma senza fare il passo più lungo della gamba. Vogliamo portare avanti i nostri progetti, lottare per i nostri obiettivi, migliorare giorno dopo giorno. Questo dovrebbe essere l’obiettivo per tutte le squadre, noi nel nostro piccolo facciamo lo stesso".
Tra questi traguardi c’è ovviamente la Serie A.
"Nel business plan iniziale ci eravamo posti l’obiettivo Serie A nel 2028, poi abbiamo dovuto modificare tutto perché abbiamo perso tre anni. L’idea era di prendere il titolo del Chievo in Serie D, poi non ci siamo riusciti e siamo partiti dalla Terza Categoria, da lì poi l’Eccellenza e la Serie D. Anche due anni fa abbiamo provato ad andare in D, ma non ho trovato una società che vendesse il titolo. Abbiamo avuto ritardi dovuti a questo tipo di problematiche, ma l’idea è quella di vincere la Serie D il prima possibile, la guerra è quella: vogliamo partire subito".
Dalle sue parole sembra essere un presidente molto pragmatico. C’è anche spazio per dell’ottimismo?
"Io sono un sognatore, perché se vuoi raggiungere degli obiettivi devi sognare in grande, e io sogno sempre in grande. Certo che l’obiettivo sarà sempre la Serie A, ma prima di arrivare in A ci sta la Serie B, la Serie C, devi vincere la Serie D. Io vivo ogni anno per conquistare il più possibile. Non c’è solamente il punto di vista sportivo, c’è anche la costruzione di una società, il lavoro che c’è dietro, il costruire qualcosa. Tutto questo noi lo dobbiamo ottenere gradualmente. La A rimane il mio sogno più grande, ma prima di arrivare lì ho da conquistare tanti campionati, ho da lavorare tantissimo e da fare tanta fatica. Mi auguro che questa fatica sia nel più breve tempo possibile, ma purtroppo i risultati calcistici non sono sempre lineari, non seguono sempre il lavoro che fai all’esterno. Però se inizi a essere una società tranquilla e sana, se costruisci con delle persone valide, ecco che poi magari i risultati arrivano un po’ più facilmente".
In Serie A, ma ormai anche in Serie B, ci sono sempre di più delle grandi proprietà straniere. C’è ancora spazio per realtà radicate nel territorio come la vostra?
"Probabilmente queste continueranno a dominare, perché purtroppo i soldi rimangono la cosa più importante che c’è nel calcio. Detto questo di posto ce ne sarà sempre per tutti. Indubbiamente devi lavorare bene, non puoi più essere quelle società che hanno debiti, che non hanno un centro sportivo all’altezza o un settore giovanile valido. Devi costruire un qualcosa di solido se vuoi competere ad alti livelli con quelle enormi società. E quindi dovrai fare molta più fatica. Oggi, purtroppo o per fortuna per il calcio italiano, ci sono tante società che spendono a tutti i livelli".
In un’eventuale Serie C potreste arrivare a confrontarvi anche con le tanto chiacchierate squadre B, le under-23 delle squadre di Serie A. Le piace questa tendenza?
"Sinceramente no. Poi nessuno dice che non si debbano fare, credo che però non sia giusto che tolgano spazio ad altre società. Le vedrei meglio in un campionato a parte, forse. Non lo dico per noi che siamo ancora una realtà piccola al momento, ma per le altre società che lavorano, che faticano, che spendono e poi si ritrovano senza spazio. Ci sono tante società che dovrebbero poter sognare di ritrovarsi in categorie superiori, e così limiteresti un po’ il sogno di tutte quelle che vogliono lavorare, di tutte quelle che buttano un po’ di fatica in categorie inferiori. Una volta era un po’ più bello. A breve tutte le società di A dovranno affidarsi all’under-23. Vorrà dire 20 squadre in meno in Serie C, che o scompaiono o finiscono in Serie D. Questo poi rende ancora più difficile inseguire il sogno per tanti che se lo meriterebbero".
Il settore giovanile sarà uno dei mezzi su cui punterete maggiormente?
"A Verona adesso l’Hellas fa da padrona perché giustamente è una delle poche società professionistiche che ci sono a Verona, e quindi i giocatori più bravi tendono ad andare lì. Però se vuoi crescere, malgrado le nuove regole che complicano un po’ tutto, devi avere un settore giovanile forte. Non puoi pretendere di avere la potenza di andare a comprare i giocatori in giro. Devi crescerli e insegnargli calcio, per poi portarli in prima squadra. Significa creare il tuo giro e diventare una famiglia anche lì sotto. E non è assolutamente semplice".
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