A pochi giorni dal compimento dei suoi 70 anni, Bruno Conti ha svelato per la prima volta di aver combattuto e vinto una battaglia contro un tumore al polmone. La leggenda della Roma e della Nazionale italiana, quel ragazzino dalla zazzera inconfondibile che volava sulla fascia dribblando avversari, ha affrontato con la stessa determinazione mostrata sui campi di calcio anche questa difficile prova della vita.
"Due anni fa mi hanno diagnosticato un tumore al polmone", ha rivelato Conti in un'intervista alla Gazzetta dello Sport. "Devo ringraziare il mio medico di famiglia, il dottor Camilli, che si è accorto subito della mia tosse persistente e il professor Rendina del Sant'Andrea per le cure che hanno funzionato. E non dimentico il presidente Dan Friedkin che voleva portarmi a sue spese negli Stati Uniti: conservo le sue affettuose lettere. Ora però sto bene, gli esami sono tutti a posto. E posso dire che mi è riuscito un altro dribbling…".
Un campione che ha scritto pagine indelebili del calcio italiano: protagonista del primo scudetto della Roma nel 1983 e dell'Italia campione del mondo nel 1982. Veloce, guizzante, dotato di grande capacità aerobica e di un sinistro raffinato, Conti è stato il compagno ideale per i centravanti del suo tempo, da Roberto Pruzzo nella Roma a Paolo Rossi nella Nazionale.
Il legame con i colori giallorossi rappresenta l'altra costante della sua vita. Cinquant'anni di fedeltà assoluta, interrotti solo da due brevi parentesi in prestito al Genoa. Dopo il ritiro, ha continuato a servire il club in vari ruoli, anche come allenatore ad interim nel 2005, fino all'attuale incarico di coordinatore del settore giovanile.
"La Roma è tutta la mia vita", racconta con emozione. "Ancora oggi quando sento gli inni di Venditti, Fiorini e Conidi mi emoziono, mi viene la pelle d'oca. Non ho mai pensato di lasciare la Roma, neanche quando Maradona ogni volta che ci incontravamo mi diceva 'vieni a Napoli'. Mio padre, romanista fino al midollo, non me l'avrebbe mai perdonato. 70 anni di cui 50 passati nella Roma sono due traguardi: sono l'uomo con la più lunga militanza in giallorosso da calciatore, allenatore e dirigente".
Le parole con cui descrive il suo rapporto con il pallone rivelano l'essenza di un talento puro, innamorato del gioco al di là dei risultati: "Voi non potete neanche immaginare quanto mi sono divertito... dribbling, tacchi, finte e controfinte, che giocassi da ragazzino per strada con gli amici di Nettuno o contro Briegel in Italia-Germania per diventare campione del mondo. Perché io col pallone ci facevo l'amore...".
Un amore viscerale per il calcio e per la Roma che, insieme alla famiglia e agli affetti, lo ha sostenuto anche nel momento più difficile, permettendogli di completare con successo quello che lui stesso definisce "un altro dribbling" della sua vita.
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