Oggi Gigi Riva avrebbe compiuto 80 anni. Il 7 novembre del 1944 nasceva infatti a Leggiuno, in provincia di Varese, l’attaccante italiano più prolifico di sempre in maglia azzurra (35 reti in 'appena' 42 presenze); ‘Rombo di tuono’, come era stato soprannominato da Gianni Brera, che in tre parole era stato capace di sintetizzare il dominio fisico di questo straordinario calciatore, che ha legato tutta la sua carriera all’azzurro della Nazionale e al rossoblù del Cagliari.

Se con la maglia della squadra sarda conquisterà uno storico Scudetto nel 1970, è nel 1968 che Riva si laurea campione d’Europa con l’Italia. Un trionfo vissuto in maniera ‘particolare’ dal leggendario attaccante, che riproponiamo in questo racconto narrato dal ‘Dottor’ Fino Fini, fondatore del Museo del Calcio e all’epoca medico della Nazionale azzurra.

“A quell’epoca l’Italia non alzava un trofeo internazionale da trent’anni, da quel secondo trionfo mondiale nel ’38 targato Pozzo. Gli Azzurri venivano inoltre dalla disastrosa spedizione in Inghilterra per il Mondiale del ’66. La semifinale europea del ’68 aveva però ridato entusiasmo: contro l’Unione Sovietica eravamo favoriti e soprattutto giocavamo in casa.

La preparazione alla fase finale – a quattro squadre, all’epoca - non iniziò nel migliore dei modi: durante le visite mediche di rito, Riva accusa un dolore ai muscoli adduttori della coscia. La diagnosi purtroppo è immediata: si tratta di pubalgia. Gigi era un patrimonio per la nostra Nazionale e non potevamo rimandarlo a casa. In accordo con il medico del suo club di appartenenza, il Cagliari, e con l’assenso del Ct della Nazionale, Valcareggi, decidiamo di rischiare e tenere Gigi in squadra. 

Al tempo non esistevano terapie ufficiali riconosciute per curare la pubalgia in tempi rapidi e non era ancora prevista l’operazione. Era fondamentale però tenere Gigi in allenamento senza andare ad aggravare il problema muscolare. Insieme allo staff medico della Nazionale decidiamo di provare una terapia particolare, non ancora sperimentata. L’idea era quella di creare una diversa coordinazione motoria al fine di sollecitare solo alcuni muscoli, tenendo a risposo quelli interessati dall’infiammazione. Predisponiamo così una tipologia di allenamento specifica: mezz’ora di corsa blanda, correndo però con le punte dei piedi rivolte verso l’interno, e poi mezz’ora di corsa con la palla, colpendo però la sfera solo con l’esterno del piede. La terapia sembra funzionare ed il dolore alla muscolatura infiammata inizia a diminuire.

L’Italia nel frattempo ringrazia il lancio della monetina al termine della semifinale contro l’Unione Sovietica, per decidere il vincitore. In finale siamo contro la Jugoslavia, ma Riva non è ancora pronto per scendere in campo. Pareggiamo nuovamente: questa volta niente destino da decidersi con una monetina e niente calci di rigore, non previsti all’epoca. Si rigioca dopo 48 ore.

Alla vigilia della ripetizione della finale, il Ct Valcareggi mi chiede un consulto e vuole sapere se Riva è in grado di giocare la sfida decisiva: non ho dubbi e rispondo che il ragazzo è pronto.

Il resto della storia già la conosciamo: Riva gioca una partita formidabile, realizza la prima delle due reti del 2-0 finale e alziamo la coppa”.

Al Museo del Calcio di Coverciano è conservata la maglia numero 11 con cui Gigi Riva disputò una gara di qualificazione proprio per quegli Europei.

Sezione: Attualità / Data: Gio 07 novembre 2024 alle 23:00 / Fonte: figc.it
Autore: Chiara Motta
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